|
La forma dell'Invisibile
Nell’icona la forma ultima e definitiva di bellezza
Estratto dell’intervento pronunciato al Convegno sulla Bellezza
svoltosi a Caltavuturo (Pa) nel luglio 2009
La bellezza naturale è solo il riflesso di un’altra bellezza
Un discorso intorno alla bellezza nell’icona deve necessariamente partire dalla Sacra Scrittura, essendo l’icona la Scrittura dipinta.
Nel Cantico dei Cantici l’Amato alla vista dell’amata esclama: “ Tutta bella sei tu, amica mia, amata mia, e in te non vi è difetto” ( Ct 4,7) e aggiunge “ Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana.” ( Ct 4’9).
Nel versetto citato l’Amata è bella a partire dal fatto che non ha difetto né imperfezione, infatti è detto “tutta bella sei tu”,viene pertanto da chiedersi: di quale realtà naturale si può dire la stessa cosa? Se la bellezza attiene alla manifestazione che un ente fa di sé, noi sappiamo tuttavia che non vi è nulla sotto il cielo che contenga tutte le perfezioni, a partire dal fatto che nulla permane. La bellezza è si tanto presente nel mondo ma vi appare in modo imperfetto, fugace e instabile, tutto è vanità, tutto è dominato dal tempo e dalla morte. Nell’ordine naturale si possono contemplare le opere del Creatore (Rm 1,20) ma sappiamo tuttavia che “la creazione è stata sottoposta alla caducità” (Rm 8,20) per cui nessuna realtà naturale possiede quello splendore e pienezza dell’essere da renderla immune dalla fine: qualunque cosa promani bellezza questa sfiorirà un giorno con lei. Nel passo biblico citato pertanto è l’Amato che con lo sguardo ardente dell’innamorato vede l’Amata tutta bella e, come un Re che fa diventare regina la sua sposa, la unisce a sé conferendole un piano più alto di essere. Quando l’amata conosce l’amore dell’Amato se ne sente riempita e trasformata, non vuole più esserne priva né lo potrebbe, e lo cerca dovunque. Ha compreso che solo Lui è la fonte dell’amore, essendosi unita a Lui sul monte degli aromi, e solo da Lui può riceverlo. L’amata ha conosciuto la Bellezza perché l’ha incontrata nell’Amato, e non si sazierà mai d’altro che di Lui, né potrà più riconoscersi se non nella bellezza alla quale Egli l’ha chiamata.
La nostra condizione è la stessa: dal momento in cui comprendiamo che parlare della Bellezza in sé è possibile solo in termini assoluti, dobbiamo anche concludere che possiamo riferirla solo a Dio che è la “Bellezza sempre antica e sempre nuova” (S.Agostino).
“Bellezza” quindi è una categoria metafisica. In Dio vi è la bellezza perché essa è il naturale riflesso del suo essere fonte di ogni perfezione; la bellezza gli appartiene e le sue opere dall’origine lo manifestano, nella Genesi è scritto che le cose da Lui create gli apparvero buone e belle, tôb, pertanto la bellezza è anche nella visione che Dio ha della sua creazione. Vi è dunque la Bellezza archetipica che scende da Dio e la bellezza della creazione che sale a Dio; la bellezza che scende da Dio deve tradursi, nella creazione, in una bellezza che sale a Lui, ma noi sappiamo che la bellezza che deve salire a Dio è stata abbruttita dal peccato, allora Dio fa scendere un’altra Bellezza, quella del Lògos, mediante la quale ripristinare la primitiva bellezza della creazione.
Pertanto Egli è l’Archetipo da cui tutto riceve una nuova forma.
Da dove viene il bisogno di bellezza
In noi la sensibilità alla bellezza mette in evidenza qualcosa che è presente nella nostra anima ed è innata, viene dal bisogno di rendere migliore con qualcosa di appagante la nostra vita, qualcosa da cui venga riempita e trasformata togliendo l’insipienza, la barbarie, il caos dalla quale è costantemente insidiata. La spinta interiore verso la bellezza è segno del profondo bisogno di ciascuno di abbandonare le spoglie di una condizione decaduta, bassa e mortale, per salire ad uno stato di vita piena al più sommo grado ed è il segno di una condizione di cui abbiamo una misteriosa memoria. La cacciata dal Paradiso è stata causa di una bellezza perduta e del distacco dell’uomo dalla verità, che l’uomo anela a riacquistare. La storia dell’umanità può quindi essere vista come un cammino che inizia dalla bellezza perduta e tende a ritrovare la bellezza originaria, per questo “aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova” (2 Pt 3, 13) e (Ap 21, 1). “Ne consegue che esiste un’unica origine della Bellezza autentica: Dio stesso, e che ogni bellezza terrena è una scala di immagini che richiamano e rimandano all’Archetipo” ( A. Stalnov ).
Quando Dio sull’Oreb ordinò a Mosè di costruire la Tenda del convegno, anticipo del bellissimo Tempio di Gerusalemme e figura del corpo del Signore, gli fece vedere il modello dal cielo e lo ammonì dicendo ”bada di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte”(Es 25,30). L’icona è anagogica, se ogni bellezza nella creazione deve ricondurre alla bellezza archetipica, tanto più questo si deve riflettere nelle cose che riguardano il culto: il tempio, i sacramentali, il canto e la musica sacra, le sante icone, perché è per mezzo loro che dobbiamo esprimere sacramentalmente il nostro ritorno a Dio.
Per ritornare alla Casa del Padre
Ciò si realizza nella fede in Cristo morto e risorto attraverso il Battesimo, l’Eucaristia, l’ascolto accogliente della Parola e nell’amore a Cristo nel prossimo a partire dai piccoli. Dio ha dato di poter confessare la fede nell’incarnazione del Figlio anche mediante la lingua dell’immagine, la Chiesa di conseguenza si è riconosciuta in questo modo di contemplarlo, come è stato decretato nel 787 nel Concilio II di Nicea.
Con il dono dello Spirito ai discepoli è stata aperta la conoscenza delle Scritture perchè comprendano che sono entrati nella vertigine dell’amore di Dio e la contemplazione dell’Intelligibile da allora in poi diventi la contemplazione del mistero di un Dio che si fa uomo perché l’uomo sia riscattato e diventi dio per grazia.
Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo già stati redenti dall’unico sacrificio offerto dell’unico Sommo Sacerdote. Anche noi siamo costituiti sacerdoti, i nostri atti devono essere atti di culto per esprimere sia la lode che la supplica. La Liturgia per sua natura è fatta per espandersi perché i suoi Misteri sono volti a raggiungere e redimere ogni cosa (“ecco Io faccio nuove tutte le cose…”): tutte le creature, tutti i mondi.
L’uomo guidato dallo Spirito Santo del Padre e del Figlio, sentendosi redento da Cristo, si riconosce privilegiato in questa opera divina di salvezza cosmica perché è unito a Cristo che è il centro di tutto, l’intimo consistere di ogni cosa.
Siamo dunque chiamati alla santità. Scriveva O.Clemènt: “Chi è il Santo? Non un uomo che possiede la bellezza effimera della giovinezza, ma un uomo che possiede l’unica ed eterna bellezza, che scaturisce dal cuore, qualora questo cuore sia divenuto uno specchio fedele del Risorto…”
Egli può contemplare tutto di nuovo come Tôb cioè cogliere l’unità di bellezza, bontà, verità. Vivendo in questo mondo ma non essendo di questo mondo, al di là del male in esso presente, tutto gli appare già redento, Cristo ha già compiuto tutto ( Giov 19,30), la sua opera ha posto i fondamenti per la nostra vittoria sul male e sulla morte. La fede certa nel Risorto provoca nel suo intimo una sensibilità nuova, una integrità e innocenza ritrovate “ se non tornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” ( Mt 18,3 ). La sua vita dovrà scostarsi in nulla da come il Signore ha vissuto e ci ha insegnato a vivere: ”Fate come me che sono mite e umile di cuore”. Santo è un piccolo, un rifugiato, un nascosto in Cristo, ciò è vero anche se conduce una vita pubblica: egli difenderà sempre eroicamente la sua intimità, il suo nascondimento in Cristo. Ciò fa di lui una creatura nuova, e come tale ha la sapienza per vedere le creature in modo nuovo, come ci insegna S.Francesco.
Assieme alla metanoia, cioè la penitenza, la conversione dai propri peccati, l’adesione amorosa a Cristo che lo impegnerà tutta la vita, grazie allo Spirito che zampilla nel suo intimo, egli contemplerà come tutto può essere fonte di bellezza e di meraviglia, dopo il peccato dell’uomo Dio ha compiuta per noi l’economia della salvezza, la bellezza rifiorisce con l’apparire della creazione redenta e trasfigurata.
Per questo s.Francesco esclamerà: “Laudato sii mì Signore, cum tutte le tue creature…”
Se l’uomo spirituale ha questa consapevolezza, il mondo non gli apparirà più come era prima di essere riempito dalla Grazia, si sentirà partecipe e corresponsabile, infatti la partecipazione comporta la visione: “ Noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo come Egli è “ (1 Gv 3, 2).
La Grazia gli dà la facoltà di poter concepire sin d’ora la visione futura, fino al punto, seppure sotto il velo di simboli, di poterla rappresentare.
Come è rappresentata la bellezza nell’icona
Se teniamo presente l’idea della Trasfigurazione quando incontriamo un’icona gli occhi vedono inizialmente solo materia: minerali ridotti in pigmento disposti a macchie cromatiche su una tavola lignea. Ma in ciò che l’occhio coglierebbe soltanto come insieme di macchie, la coscienza vi riconosce un’immagine. All’atto della visione, istante dopo istante in noi si realizza attivamente il salto trasfigurante dalla materia all’immagine.
Con l’attitudine contemplativa della nostra anima possiamo poi compiere un altro salto: passare dalla immagine materiale alla contemplazione della realtà da essa significata, l’Invisibile, ricondotto a noi mediante la funzione del simbolo, attraverso la quale comprendiamo che l’Invisibile è sempre presente e abbraccia tutta la nostra realtà.
Pertanto è il contenuto teologico a determinare la forma nell’icona perché per suo mezzo ci è annunciata “una metafisica consapevolmente espressa” ( P. Florenskji ).
Riflessioni
Nell’icona noi abbiamo sia la luce che i colori: i colori sono in un certo senso le singole energie della luce e la luce è l’unità sinfonica di queste energie. Il pittore per esprimere con i colori in modo sensibile la realtà invisibile ha dovuto cercare le materie più adeguate, quelle che hanno la migliore resa luminosa.
Nell’icona della Trasfigurazione la luce scintilla e permea tutta la composizione, non sono presenti le ombre, le tenebre non sono Dio. Come figli della luce la nostra vita è solo un salire alla luce, gli apostoli sono saliti al Tabor e hanno contemplato il Signore risplendente in modo tale da esserne travolti, allo stesso modo Egli si è fatto conoscere da s.Paolo. Gesù risplende della sua luce divina, essendo una Ipostasi della Trinità, “ Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”, in Lui risiede tutta la pienezza della divinità, poiché è “ Egli è immagine del Dio invisibile” ( Col 1, 15). Attorno a Lui un nimbo scuro, una “luce tenebrosa” poiché Dio Padre resta apofaticamente nascosto e si manifesta solo in Cristo, come Egli stesso ha detto “ Chi vede me vede il Padre”. Dalla sua Persona escono raggi luminosi che si espandono ovunque, il dono di questa beata visione che è rivolto agli apostoli e per mezzo loro a noi, prefigura il dono della Vita divina alla carne umana, mediante lo Spirito, perché operi la trasfigurazione dell’uomo.
Nell’icona della Vergine Odighitria notiamo sul volto del Signore dei segni luminosi, gli ojivki, questi sono posti alla sommità dell’area degli schiarimenti, la quale si distacca a sua volta dall’area del tono di fondo, l’illuminazione si struttura in gradienti di colore che culmina in un picco di maggior luminosità, simbolicamente si assiste quindi ad un passaggio di gradi: alla base si ha la carne compresa nella condizione decaduta in cui si trovava a causa del peccato, poi si sale alla sfera dei sentimenti e dell’intelletto cioè “ l’anima razionale”; e infine si sale al piano divino a cui introduce lo Spirito Santo quando entra nella nostra persona e la riempie di Grazia.
“Salire alla luce” è esattamente il criterio con cui si scrive un’icona. Avendo il Signore deificato la sua carne, egli ce ne vuole rendere partecipi per mezzo dell’unione (comunione) con Lui affinchè anche noi possiamo salire alla luce e conoscere la nostra personale deificazione. Come è stato detto da autorevoli Padri “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi dio” ( s.Ireneo di Lione, s.Atanasio). Notiamo infatti anche sul volto di Maria, la prima creatura deificata, i segni che testimoniano che Dio l’ha innalzata alla beatificante visione di Dio.
Sulla veste di Gesù gli schiarimenti non sono dipinti, al loro posto troviamo un complesso di linee luminose, in oro, realizzate secondo una tecnica chiamata assist, è ancora un annunciare la divinità del Verbo incarnato, “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”.
Le icone vogliono mitigare la tentazione sempre presente in noi di trovare in ogni cosa un certa accattivante bellezza, tali sono le icone che presentano una cromìa semplice dai toni intensi, pacati e profondi, talvolta attraversate da una impercettibile tristezza; esse vogliono favorire un tipo di preghiera volta a interiorizzare il contenuto, restando in silenzio. Ci insegnano che stati di accidia e di grazia si alternano nel cammino di santificazione, che la rinuncia alle “opere della carne” è costellata di sconfitte e di vittorie, e solo avendo lo sguardo fisso sul Cristo si esce vittoriosi dalla buona battaglia, secondo l’espressione paolina.
Questo lo si vede in icone dei santi asceti, a cominciare da quella di S.Giovanni Battista, tuttavia notiamo lampi luminosi sui corpi asciutti, sentiamo i loro sensi resi affilati ( Trubeckoi) da una vita ascetica abbracciata per aderire totalmente al Cristo. I loro corpi hanno perso ogni mollezza, le membra indurite come legno d’ulivo, i volti segnati da solchi e rilievi esasperati, gli occhi come specchi dello Spirito che li ha fatti suo tempio. In loro la bellezza è il trasparire all’esterno dell’uomo interiore. La somiglianza con Cristo, che hanno avuto nascosto nel cuore, è l’emergere della gloria di colui che è “il più bello tra i figli dell’uomo”( sal 45,3), Dio ha così reso luminosi i loro volti per essere “ luce del mondo “, per essere testimoni della trasfigurazione del nostro corpo mortale a immagine del corpo glorioso di Cristo.
L’icona della Annunciazione esprime il fondamento stesso dell’arte sacra: l’Incarnazione. Facendosi uomo Dio si è reso visibile, perché la natura umana è visibile e circoscrivibile. La Vergine accoglie nel suo grembo colui che tutto trascende e tutto contiene ma che ora si lascia contenere. Egli si chiamerà Gesù, “Il Signore salva”. La bellezza ha già salvato il mondo, noi dobbiamo unirci a Lui che ce la dona.
La Discesa agli inferi. “Il Signore si è fatto uomo fino alla morte” dicevano i Padri della Chiesa. E’ entrato nella morte per liberare coloro che la morte aveva fatto prigionieri. Gli inferi sono il luogo della massima tenebre dove non vi era bellezza né poteva entrare ma lì Cristo irrompe, illumina, sfonda le porte, afferra il progenitore Adamo e lo trascina con sé. La polvere dei millenni è annullata dalla croce. Il creatore ritrova la sua creatura creata a sua immagine e con lui inizia a ricreare la bellezza deturpata dal peccato.
Nell’icona della Natività, come in tutte le icone canoniche, notiamo la caratteristica assenza di spazio e di tempo, almeno come li intendiamo comunemente: non c’è profondità e non c’è istantaneità, tutto è fissato in un momento eterno. Nell’eternità è già compiuto ciò che nel tempo deve ancora compiersi definitivamente. Notiamo che è evitata l’illusione prospettica, le rocce sono tradotte in forme geometriche ma le linee anziché convergere in un punto dietro il dipinto si incontrano davanti all’icona, lì dove ci troviamo: tutto è offerto sinotticamente alla nostra visione.
La perdita di volume produce l’appiattimento sul piano dell’icona di ogni cosa, ad ogni cosa è assegnato un luogo secondo una distribuzione simmetrica, i singoli elementi sono spesso resi componendo vari punti di vista, di fronte, di lato, di sopra.
I colori hanno una vivacità delicata e contenuta ma nondimeno vogliono essere una festa per gli occhi e una gioia per il cuore, rifulgono di una luce che non è solo immateriale, ma addirittura non appartenente a questo mondo, come le gemme preziose che adornano la Gerusalemme Celeste (Ap 21, 18-20).
Complessivamente si ha una scena armonica ma sorprendente, tutto è raccontato da un altro punto di vista, sembra che l’iconografo si sia ispirato al modo di rappresentare dei bambini i quali mettono insieme senza alcuna difficoltà scorci e parti che divergono dalla normale visione oculare. Questo deve far pensare a quella rinnovata infanzia spirituale che il Vangelo contempla ed esige: “Se non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli”( Mt 18,3), e “ a chi è come loro appartiene il regno dei cieli “ ( Mt 19, 14 ), la piccolezza evangelica che si ottiene attraverso una continua circoncisione del cuore e un abbandono fiducioso in Dio, come ci ha testimoniato S.Teresa di Lisieux.
Di qui scaturisce una visione della realtà più ampia e più profonda perché Dio dà di cogliere quelle “ cose nascoste ai sapienti e rivelate ai piccoli ”, e perché ai puri di cuore è assicurata la visione di Dio (Mt 5,8). Con il cuore ripieno dello Spirito il piccolo in Cristo afferra la realtà non come i sensi ce la riferiscono e le strutture razionali ce la spiegano, ma la vede come la vede Dio: nella compiutezza del suo significato, vede l’origine e il destino dell’intera creazione. Per questo nell’icona pur vedendo il nostro mondo non lo riconosciamo come tale: è trasformato. Ciò che occhio non vide “ il Signore ce lo ha manifestato”. E’ come se il mondo fosse finito e poi rinato in una nuova forma, per il profondersi della Grazia tutto è assunto per essere innalzato, trasfigurato ed è rifiorito con una nuova veste, tutto “ canta e grida di gioia” (sal 64,14). E’ però sempre una gioia sobria, intima, spirituale. Dio è sceso nel mondo e il mondo “ non lo ha accolto” ma “a coloro che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
La spiritualità dell’icona non è altro che la spiritualità cristiana confessata in immagine, la misteriosa e arcana bellezza che vi è presente non è usata come bel rivestimento per esprimere contenuti di fede, ma appartiene alla natura stessa delle cose annunciate, le cose celesti eterne e incorruttibili, dove è la assoluta concentra-zione di bellezza. Soltanto queste vi sono contenute, mentre ne sono escluse rappresentazioni del caos, di ciò che è atroce e distruttivo, e di ogni aspetto di decadenza e nichilismo.
Bellezza è Dio, e bella è la creazione come il divino artefice l’ha fatta. “La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” ci insegna il Signore, così la bellezza originaria è stata deturpata, allora il Signore con la sua Bellezza è venuto a restituircela; scopo dell’icona, se contemplata con il cuore, è suscitare il desiderio di elevarci al mondo della Divina Bellezza.
Dall’annuncio del Signore risorto in poi comprendiamo che la morte è preludio di resurrezione, che tutta la finitezza che ci sovrasta dice che la vita è eterna solo nel Regno dei cieli, che la scena di questo mondo passa per lasciare il posto alla nuova creazione.
La visione escatologica mostrata nell’icona ci annuncia che tutto nella nostra vita è ordinato alla trasfigurazione finale per essere parte della Bellezza ultima e definitiva.
|
|